Cenni Storici

Cosa sappiamo della storia di Fornovo?

Dell’importanza di Fornovo nell’antichità, ed in particolare durante l’età romana e i primi secoli del medioevo, si comincia a parlare già nel 1840, ma soprattutto verso la fine dell’Ottocento. In quegli anni si intensificano nelle campagne del paese le opere di sterro e di livellamento dei terreni, nel corso delle quali vengono alla luce in quantità veramente considerevole oggetti dell’età antica e medievale, soprattutto di epoca imperiale romana e longobarda.
e famiglie Bietti, Gallavresi, Toffetti e Canevisio e l’onorevole Engel hanno allora vaste proprietà terriere nel paese. Di fronte alla quantità dei materiali rinvenuti ne danno notizia a Damiano Muoni, autore di una storia di Romano, e più spesso a Gaetano Mantovani, regio ispettore agli scavi nella nostra provincia e appassionato di archeologia e di storia antica.
I decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento devono essere stati un periodo di inconsueto fervore, alimentato dai continui ritrovamenti, alcuni dei quali di pregio. A centinaia si contano le monete, le anfore, i piccoli oggetti di uso domestico. Vengono alla luce pure numerose tombe, in genere ormai prive del corredo funebre; meno frequenti sono invece le notizie di gioielli e di oggetti di lusso e gli avanzi di edifici, o per la naturale scarsezza, o per l’avidità con cui sono stati trafugati e venduti.

Tra gli oggetti di maggiore pregio storico vanno segnalati:

  • un’ascia di pietra levigata
  • la testa di marmo di un cittadino romano, della seconda metà del I sec. a.C. 
  • la lapide votiva dedicata da M. Domizio Crescente al dio Giove 
  • una bilancia a stadera, con il peso a forma di testa di bambino 
  • un pavimento in mosaico molto semplice, ornato a disegni con tessere bianche e nere   
  • la lapide di C. Licinio Hilaro e di C. Nevio Rufione 
  • diverse tombe di epoca romana sparse un po’ in tutto il territorio
  • il sepolcreto longobardo vicino alla cascina Vallicelle.

È in questo periodo che il Mantovani viene spesso a Fornovo. La sua attività instancabile è volta a registrare con precisione e minuzia i ritrovamenti, dedicando la medesima attenzione a quelli di età preistorica, romana e medievale. Pubblica minuziose relazioni degli oggetti rivenuti, ne acquista anche personalmente una parte per contenerne la dispersione. Per i limiti delle leggi del tempo e per la volontà di non inimicarsi i proprietari terrieri non riesce a promuovere scavi sistematici e ad evitare, ad esempio, il saccheggio del sepolcreto longobardo presso la cascina Vallicelle. Tuttavia le descrizioni che ci lascia di moltissimi ritrovamenti sono una fonte importante di informazione fino alla seconda metà del Novecento.
I materiali di epoca preistorica e romana sono ora esposti nel Museo Archeologico di Bergamo. Quelli medievali di età longobarda, venduti e dispersi dopo il saccheggio, sono finiti in gran parte al Museo Archeologico di Milano, alcuni nel Museo Nazionale Germanico di Norimberga e nel museo Stibbert di Firenze.

Dopo gli inizi del Novecento le scoperte archeologiche a Fornovo si fanno sporadiche, ma l’arciprete Giacomo Lanzanova contribuisce a far conoscere la storia del paese, pubblicandone una sintesi nel 1931 in un libro ben informato per il tempo e scritto in stile divulgativo.
A partire dagli anni Sessanta la Soprintendenza ai beni archeologici esercita in modo sempre più efficace il suo ruolo in provincia di Bergamo e promuove indagini sul campo, nuovi studi e ricerche, la revisione degli studi dell’Ottocento, giungendo nel 1992 a pubblicare la “Carta archeologica della provincia di Bergamo”. Anche alcuni studi promossi da insegnanti universitari con l’ausilio dei più avanzati strumenti di indagine forniscono nuove importanti informazioni. Basterà citare quello compiuto con l’ausilio delle rilevazioni aeree da P. Tozzi per definire la centuriazione, cioè la bonifica e divisione in lotti della pianura bergamasca nel I sec. a.C. Fornovo ne ha ricevuto indirettamente un significativo contributo, perché viene sottolineata la sua importanza nella sistemazione idraulica e amministrativa del territorio da parte dei Romani.
Negli anni Settanta l’Amministrazione Comunale di Fornovo, con l’appoggio della Soprintendenza e la collaborazione del Gruppo Archeologico Bergamasco, costituisce la sala-museo, in cui sono conservati alcuni oggetti, tra i quali spiccano le anfore ritrovate presso la chiesa parrocchiale.

Breve profilo storico

Età preistorica
Fornovo risulta abitato dall’età preistorica. Ne sono testimonianza diverse punte di freccia in pietra e soprattutto un’ascia di pietra levigata ritrovata nel podere Campaccio. Le condizioni che hanno favorito l’insediamento sono due. Il nucleo centrale dell’abitato ancor oggi appare un po’ elevato sopra la campagna circostante e quindi non veniva allagato in occasione delle inondazioni del fiume Serio e delle grandi rogge. Inoltre Fornovo si trovava su un importante asse viario, percorso dai pastori in età preistorica e protostorica per condurre le mandrie dalla pianura del Po fino ai pascoli alpini. Tale direttrice seguiva il Serio da Crema su fino a Cologno Urgnano e Zanica, linea lungo la quale si concentravano i commerci e i contatti con le civiltà più evolute del vicino Oriente e di Roma.

Età celtica
A partire dal VI sec. a.C. nella pianura del Po si stanziano i Celti o Galli: nel territorio fra Adda e Oglio la tribù dei Cenomani, intorno a Milano quella degli Insubri.
Della loro presenza non abbiamo molte testimonianze archeologiche a Fornovo, in genere parti di armatura, ornamenti e vasellame ritrovati in alcune tombe. Le tombe più significative, ritrovate con tutto il corredo e studiate di recente sono quelle di Misano e di Treviglio. A Bariano tuttavia è venuta alla luce una lapide con una delle più antiche iscrizioni latine del territorio bergamasco, che riporta i nomi di due persone importanti dal nome ancora celtico: Samicio figlio di Dunter e Novedio figlio di Allecno. Se fosse accolta l’ipotesi di identificare il Forum fondato dai Romani col Forum Diuguntorum, di cui parla un antico geografo, si potrebbe pensare che qui abitasse la tribù celtica dei Giugunti.

Età romana
Alla fine del II a.C. Roma fonda le colonie di Cremona e Piacenza, come base per la conquista di quella che sarà chiamata la Gallia Transpadana. A partire dal I sec. a.C. anche la nostra pianura comincia a rientrare nei progetti romani, che non si realizzano però attraverso la sconfitta militare della popolazione residente, come in Emilia con la tribù dei Boi, né con la fondazione di una colonia e il trasferimento di contadini-soldati a difesa del territorio, come a Cremona. La civiltà romana arriva e si impone qui perché ha alla base una società culturalmente, organizzativamente ed economicamente superiore.
Tra il 50 a.C. e il 50 d.C. si compie la romanizzazione del territorio. La pianura da Bergamo fino alla linea di Madignano, poco sotto Crema, viene bonificata e divisa in lotti di forma quadrata. Gli appezzamenti vengono assegnati ai contadini: forse del posto, forse giunti dalla vicina Cremona o forse trasferiti dal centro Italia. Viene costruito l’abitato del Forum e qui si insedia una famiglia della nobiltà gallo-romana, quella dei Domizi, proprietaria di terre e di una fornace per la produzione di mattoni, anfore e vasellame di uso domestico. Nel giro di due o tre generazioni gli abitanti assumono i nomi, gli usi e i costumi di Roma. Il primo cittadino romano di cui abbiamo testimonianza a Fornovo è Marco Domizio Crescente, senza dubbio un notabile del paese, vissuto più o meno a cavallo tra I sec. a.C. e I sec. d.C.
Il Forum è il centro amministrativo della pianura, dipendente dal municipio di Bergamo: qui si tiene il mercato per lo scambio dei prodotti agricoli e forse si svolgono alcune attività amministrative minori. Della vita nel Forum in età imperiale, cioè dal I al V sec. d.C. abbiamo molte testimonianze nei ritrovamenti di oggetti di uso quotidiano, ornamenti femminili, oggetti di culto. Probabilmente nell’area dell’attuale piazza S. Giovanni sorgeva un tempietto dedicato al dio Giove. Il nome di Forum Novum deve essere stato dato al paese verso la fine dell’impero, dopo che era stato distrutto nel corso di una delle tante guerre fra i vari pretendenti al trono imperiale.

Età longobarda
L’impero romano diventa sempre più fragile dal punto di vista economico, organizzativo e militare. Nel V e VI secolo le tribù germaniche più volte violano i confini, compiono scorrerie e devastano molte regioni. Nel 410 i Visigoti al comando di Alarico entrano in Italia e giungono fino a Roma, saccheggiandola. Il fatto desta un’eco grandissima in tutto il mondo romano e lascia in tutti l’impressione della fine di un mondo che durava da secoli.
E la fine arriva. Nel 568 i Longobardi, uno dei popoli germanici più aggressivi e barbari, penetrano dal confine orientale, distruggono Aquileia e nel giro di poco tempo conquistano tutto il nord Italia, ponendo la loro capitale a Pavia. Bergamo diventa sede di un importante ducato longobardo e nel territorio tra Adda e Serio ci sono diversi insediamenti di guerrieri detti “fare”, come testimoniano i nomi di Fara d’Adda e Fara Olivana. Fornovo viene occupato in quanto è il centro amministrativo della precedente organizzazione romana.
Il nostro paese presenta una situazione per molti versi esemplare del nuovo stato di cose. I guerrieri longobardi si insediano a nord dell’abitato, presso la cascina Vallicelle dove allora doveva sorgere una villa romana o ne rimanevano resti importanti. Mantengono quindi una netta separazione rispetto agli abitanti latini, concentrati nel centro dell’antico Forum e ormai ridotti in condizione di schiavi. Solo dopo più di un secolo infatti le due popolazioni si mescoleranno.
La via Breda, la roggia Morla e l’area un tempo chiamata in dialetto “Biulcaréa” (in latino medievale “Bubulcaria”, cioè area riservata ai mandriani) sono la testimonianza rimasta ancor oggi della presenza dei Longobardi a Fornovo. L’edificio originario della chiesa di S. Giovanni Battista viene costruito o alla fine dell’impero romano o proprio in età longobarda.
La testimonianza più ricca e appariscente della presenza longobarda a Fornovo è data però dai corredi delle tombe venute alla luce presso la cascina Vallicelle: lance, spade, coltelli da combattimento detti scramasax, scudi, cinturoni, staffe e finimenti per cavalli testimoniano bene la vita di quei rudi guerrieri. Venivano sepolti con il volto coperto da un velo su cui erano cucite delle croci in lamina d’oro con simboli a metà pagani e a metà cristiani, per tenere lontani gli spiriti maligni. In alcune tombe sono stati ritrovati, insieme con i resti del guerriero, anche quelli del cavallo, a sottolineare il forte legame tra lui e il suo animale. Si sono trovate pure tombe femminili, con tutta una serie di oggetti domestici e ornamenti.
Nonostante la dispersione dovuta al saccheggio compiuto alla fine dell’Ottocento, nei musei lombardi si può ancora avere un’idea abbastanza chiara e completa di quei lontani abitanti di Fornovo.

Età dei vescovi di Cremona
Tra il IX e il XIII secolo la pieve di Fornovo assume un ruolo importante nella politica di espansione, attuata prima dai vescovi e poi dal comune di Cremona.
Nel IX e X secolo i vescovi lottano contro i conti gisalbertini, che esercitano il loro potere sul contado di Bergamo. Il predominio sulla pieve di Fornovo diventa il centro dello scontro, che termina poco dopo il Mille con la vittoria dei vescovi. Il documento che la sancisce è del 1019, stipulato fra il conte bergamasco Arduino I e la moglie Wilia e il vescovo Landolfo, nel quale i nobili rinunciano alle tasse sulle chiese di Arzago e Misano e sulla pieve di Fornovo.
Subito dopo, tuttavia, i vescovi di Cremona si trovano come antagonisti gli arcivescovi e poi il comune di Milano per il possesso della Geradadda. Questa lotta dura circa due secoli ed è testimoniata a Fornovo da alcuni episodi importanti.
Il primo episodio coinvolge il vescovo cremonese Landolfo da una parte, l’arcivescovo milanese Ariberto d’Intimiano e suo nipote Girardo dall’altra. Quest’ultimo verso il 1226-27 invade la chiesa di Arzago, dipendente dalla pieve di Fornovo. Nel 1037 l’imperatore Corrado II viene in Italia, imprigiona per un breve periodo l’arcivescovo Ariberto e scaccia suo nipote dai beni usurpati, ma pochi anni dopo costui riesce di nuovo ad occupare la chiesa di Arzago. Il successore di Landolfo, Ubaldo, solo nel 1146 riesce ad ottenere dall’imperatore Enrico III la restituzione dei beni tolti.
Il secondo episodio si colloca tra il 1150 e il 1160 ed ha per protagonista Guidrisio Giunio, vassallo di Fornovo del vescovo Oberto di Cremona. Egli si pone a capo della ribellione al vescovo, insieme con altri vassalli, con il sostegno più o meno occulto del comune di Milano. Nel 1159 l’imperatore Federico I Barbarossa, su richiesta del vescovo cremonese, emana un editto, in cui intima ai ribelli di rientrare da Crema e di affrontare il processo che il vescovo aveva avviato contro di loro. L’anno seguente il Barbarossa con un nuovo editto confisca i loro beni e li dona ad Oberto. Guidrisio muore nell’assedio che l’imperatore Federico I ha posto alla città di Crema nel 1159-60.
Il terzo episodio ha per protagonista il vescovo cremonese Sicardo. Nel 1189 egli ordina di edificare i castelli di Fornovo, Bariano e Mozzanica, che insieme con quelli di Soncino e di Camisano costituiscono il sistema difensivo di Cremona a settentrione contro Brescia, Bergamo e Milano. La costruzione del castello viene decisa dal vescovo in accordo col Comune di Cremona, perché nello statuto si precisa che gli abitanti devono giurare fedeltà “al vescovo e al comune di Cremona”.
Nel 1227, in una di quelle azioni di disturbo che mantengono alta la tensione fra i comuni di Cremona e Milano, un gruppo di soldati milanesi invade la terra di Fornovo e ne saccheggia il paese, ferendo anche alcuni abitanti. Segue una serie di iniziative diplomatiche, al termine delle quali il comune di Milano dà la propria disponibilità a costituire una commissione per verificare i danni subiti dai fornovesi e risarcirli. Con la clausola tuttavia che Cremona faccia o stesso per altri episodi in cui la violenza è stata compiuta dai soldati di Cremona.
L’ultimo episodio, che va dal 1229 al 1236, è particolarmente complesso. I conti di Camisano, sostenuti dal comune di Milano, occupano il castello e il paese di Fornovo, distruggono alcune chiese e mulini e con i materiali degli edifici costruiscono un loro castello. Nello scontro tra il vescovo Omobono e i conti vengono coinvolti anche il papa Gregorio IX e l’imperatore Federico II. Le due massime autorità chiedono che i conti di Camisano affrontino il processo, ma essi prima rifiutano e poi cercano di temporeggiare. Il vescovo Omobono rinforza i legami feudali con la famiglia Carrara, i suoi nuovi vassalli a cui ha affidato i beni di Fornovo. Ottiene anche che l’arcivescovo di Milano pronunci una solenne scomunica contro i conti di Camisano, ma senza alcun effetto. Allora il processo viene affidato all’abate del monastero di Chiaravalle della Colomba, presso Parma.
Non si hanno notizie precise su come sia finita la vicenda processuale, anche se ci sono indizi che il vescovo di Cremona sia riuscito a rientrare in possesso dei suoi beni e a ottenere la condanna dei conti. Cosa che non impedisce però il processo politico di espansione di Milano, che di lì a poco sottomette il comune di Cremona. Da allora la storia di Fornovo perde la rilevanza che ha avuto per secoli nel territorio circostante e diventa quella di un piccolo centro provinciale.

La storia di Fornovo dal sec. XIV ad oggi
Nei secoli successivi gli aspetti storici che interessano maggiormente sono di carattere locale, ma meritano ugualmente un’analisi approfondita:

  • La vita della popolazione e le condizioni dell’agricoltura, con il succedersi delle diverse attività e colture nei secoli (il mais, il riso, l’allevamento del baco da seta…).
  • La situazione religiosa: le chiese in onore di S. Vitale, S. Antonino, S. Maria, S. Pietro apostolo, S. Antonio e dei SS. Pietro e Marcellino; il convento dei Frati Umiliati; la costruzione dell’edificio attuale della chiesa parrocchiale in onore di S. Giovanni Battista nella seconda metà del Cinquecento; le devozioni più diffuse, le sagre e le feste.
  • La gestione delle acque: i conflitti con i comuni vicini per rogge e mulini, l’uso delle acque per l’irrigazione e la pesca, le cause giudiziarie legate agli spostamenti dell’alveo del fiume Serio, i progetti di derivazione di canali.
  • Le questioni connesse con la posizione di confine del paese tra gli inizi del Cinquecento e la fine del Settecento, quando il Fosso Bergamasco segna la divisione fra Stato di Milano e Repubblica di Venezia.
  • Lo sviluppo dell’industria nella prima e nella seconda metà del Novecento.
  • L’espansione edilizia e demografica del paese nella seconda metà del Novecento.

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23
Mag/23

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